BRASILE
- Un viaggio d'affari su un piccolo jet privato, un Embraer Legacy
600. Comodamente seduto su una poltrona di pelle a 10mila metri di quota
sopra l'Amazzonia. Cielo sgombro di nubi, tanto sole. Joe Sharkey,
collaboratore di lunga data del
New York Times, abbassa la tendina e si
appresta a schiacciare un pisolino. Poi un colpo, forte, dalla zona
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I resti del Boeing
(Ap) |
posteriore del velivolo. Un incubo che
si materializza. «Siamo stati colpiti» dice il suo compagno di viaggio. Ma
da cosa? Come? Qui, a 10mila metri? Sharkey alza la tendina e guarda l'ala
del piccolo aereo: è piegata, ne manca un pezzo.
È questo il tono della testimonianza del
giornalista sopravvissuto, insieme a tutti i viaggiatori del
piccolo jet, dopo la collisione. Seguono «i 30 minuti più atroci» della
sua vita, impiegati a cercare una striscia di terra in piena giungla per
portare a terra il piccolo aereo. La troveranno, in un aereoporto
militare, dove apprenderanno solo molte ore dopo l'origine del colpo: la
collisione (probabile, le indagini sono ancora in
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Joe Sharkey, giornalista del Ny
Times |
corso ma che di collisione si tratti
non c'è alcun dubbio) con un Boeing 737-800 con 155 persone a bordo, che
dallo scontro ha iniziato una caduta verticale fino allo schianto a terra.
Tutti morti.
Il
collaboratore del quotidiano americano racconta poi il dolore di
quando, ore dopo, ha saputo che in seguito alla collisione il Boeing della
Gol era scomparso dagli schermi radar. «Ho pensato che il pilota
dell'aereo brasiliano ci aveva salvato la vita con la sua prontezza di
riflessi - scrive Sharkey - Se solo i suoi passeggeri potessero dire la
stessa cosa».